A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Ci eravamo lasciati nello scorso articolo menzionando Castellazzo e il suo monastero; ne parliamo in questi tre articoli in quanto all’epoca si trattava di una realtà rurale di non poco conto.Fu infatti proprietà di Donato Ferrario, noto latifondista dell’inizio del 1400, che concesse il terreno affittandolo a numerosi contadini e allevatori (la zona sud di Milano, molto ricca di acque e fornita di marcite, era ed è ideale per l’allevamento di bovini).
Prima di iniziare è opportuno localizzare il borgo, di cui rimangono ancora numerose testimonianze plurisecolari, anche se qualche ristrutturazione è stata un po’ “forzata”, come vedremo.
Voglio subito ringraziare il fotografo Michele Addavide e la famiglia dello storico Domenico Bosatra, che mi hanno fornito prezioso materiale relativo alla loro amata Castellazzo.
Se partiamo dalla via Ripamonti, tramite la via Sibari come visto si raggiungono le cascine Belcasule e Visconta; una volta girato intorno e in mezzo alle due cascine, se si prosegue sulla via BernardinoVerro, sulla sinistra si incontra dopo qualche centinaio di metri una viuzza stretta: la via Campazzino.
Questa via è molto interessante dal punto di vista rurale, in quanto conduce a numerose cascine, che vedremo via via prossimamente; dopo averne percorso unprimo tratto, poco prima di giungere alla via Virgilio Ferrari, moderna bretella a sei corsie che la taglia, si giunge al borgo di Castellazzo, caratterizzato da un quattrocentesco ponticello che scavalca il Cavo Ticinello.
Qui si trovava il citato Convento dei Girolamini, di cui rimane la foresteria adibita prima ad osteria e in seguito a ristorante.
Vale la pena di ricordare la storia di questo monastero e dei suoi frati, un po’...vivaci.
Alcune voci ancora in circolazione vogliono infatti che i monaci esigessero dalle nubende delle vicine frazioni di Morivione e Vigentino che queste trascorressero una notte con loro prima delle nozze (una sorta di “ius primae noctis”, insomma); in caso contrario, sarebbero state murate vive. Questa è probabilmente solo una voce, ma per certo i frati avevano abitudini non proprio virtuose, come confermato da una lettera del prevosto di San Donato Milanese, datata 29 maggio 1769:
“Nel Monastero de’ Padri Gerolamini di Castellazzo attualmente sonovi, e furonvi sempre almeno dodici Sacerdoti, e quattro o sei Laici. De’ Sacerdoti due sono approvati per le Confessioni, ma inutilmente perchè non le ascoltano.”
“... Si vantano di non applicar mai la Messa Conventuale per li Benefattori o Fondatori, benchè abbiano da quelli avuto in dono la maggior parte de’ fondi che possedono. Nissun aiuto spirituale riceve da loro il Popolo, nè gli è punto affezionato; sebben dissimula, per essere da loro, come padroni, dipendente. Fuori del Chiostro altre volte hanno cagionato gravi scandali: di presente si contentano di girar per le case de’ Rustici, e trattenersi in ciance colle femmine.”
“Poco frequentata è la loro chiesa; e appena è distante dalla Parrocchiale un mezzo miglio.”
Nonostante ciò, il convento era stato uno dei più importanti del ducato di Milano. Il nome significherebbe “Castello di Azzo” in quanto Azzo Visconti detto anche Azzone, signore di Milano dal 1330 al 1339, vi avrebbe posseduto un fortilizio. Fu Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano, che, dopo aver chiamato dalla Spagna alcuni monaci girolamini, nel 1301 donò loro la località con molti altri edifici e terreni, cui applicò anche il privilegio dell’esenzione fiscale. Successivamente la comunità, ancora composta nel 1425 di soli sei monaci, crebbe d’importanza diventando presto la sede dell’ordine girolamino in Italia. Potè infatti contare sotto il suo dominio numerosi altri monasteri. Inoltre, per donazione dei conti Mandelli, dal 1489 al 1642 gestì la parrocchia cittadina dei SS, Cosma e Damiano, istituendovi un altro convento, cui trasferì una parte dei propri beni.
Il monastero del Castellazzo, che ospitò ben 60 capitoli generali dell’ordine, fu anche residenza dei Padri Generali fino al 1545, quando questi trasferirono la loro sede a Ospedaletto Lodigiano.
Dopo anni di ricchezza talora anche sfarzosa (come la proprietà della Villa Castiglioni, che serviva unicamente per la villeggiatura dell’Abate), con l’avvento della Repubblica Cisalpina il Convento venne soppresso.
Nel prossimo articolo analizzeremo quanto è tuttora visibile del convento e del contado rurale che lo circondava.